Vi riporto quanto ho letto sull'autoefficacia
Trattasi di un capitolo inerente a ad uno spazio dedicato all'Intelligenza Emotiva: Viaggio nella dimensione cognitiva ed emotiva della mente. Vi consiglio una lettura di queste pagine!
La "self-efficacy" (Bandura, 1991) è la valutazione delle proprie capacità, l'autoesame che ciascuno fa per verificare le sue probabilità di riuscire in un compito.
La self efficacy è caratterizzata da tre aspetti :
Ampiezza: quanto si è competenti in un ambito
Forza: capacità di risollevarsi dopo un insuccesso
Generalizzabilità: in quanti ambiti ci si sente competenti
Qual è la nostra probabilità di riuscita di un'azione?
La valutazione della probabilità di riuscita non dipende dalla difficoltà del compito, ma dalle esperienze del passato che condizionano le aspettative per il futuro e dalla motivazione a intraprendere un compito.
Anche se il compito è arduo, il soggetto motivato non si lascia intimorire, ma è spinto a cimentarsi in esso ed è fiducioso nelle sue possibilità di riuscirvi.
A cosa attribuiamo le cause della riuscita o meno di ciò che facciamo?
Lo stile di attribuzione è la tendenza ad attribuire le cause degli eventi a se stessi (alle proprie capacità, impegno, intelligenza) o a circostanze esterne (fortuna, caso, persone ).
Ci sono diverse combinazioni tra attribuzioni esterne o interne ed eventi positivi o negativi:
- Attribuire a se stessi sia i successi che gli insuccessi: consente di riconoscere i propri meriti senza insuperbire e di affrontare gli insuccessi senza abbattersi, perché essendo questi ultimi dipesi dal soggetto, egli può individuare gli errori e correggerli.
- Attribuire a se stessi gli insuccessi, alle circostanze i successi: produce vittimismo (sincero o strategico) oppure ostentazione di umiltà.
- Attribuire a se stessi i successi, alle circostanze gli insuccessi: produce vanagloria, delirio di onnipotenza e attribuzione di meriti infondati.
- Attribuire alle circostanze sia i successi che gli insuccessi: la persona si sente in balia degli eventi, si rassegna passivamente a tutto quello che accade ("impotenza appresa")
La combinazione migliore è quella che sposta il baricentro di attribuzione in base ad un quadro obiettivo degli eventi.
Infatti ci sono accadimenti ingovernabili, nonostante la volontà di dirigerli: attribuirsene la responsabilità produrrebbe inutili sensi di colpa e di impotenza. Sono circostanze imprevedibili e dolorose e sentirsi coautori, viverle come punizione di una presunta colpevolezza sottrarrebbe energie per affrontarle.
Allo stesso modo, è puerile inorgoglire per successi scaturiti da concomitanze favorevoli, oppure ingigantire la difficoltà di un compito per rendere più epiche le proprie gesta.
La "self-efficacy" (Bandura, 1991) è la valutazione delle proprie capacità, l'autoesame che ciascuno fa per verificare le sue probabilità di riuscire in un compito.
La self efficacy è caratterizzata da tre aspetti :
Ampiezza: quanto si è competenti in un ambito
Forza: capacità di risollevarsi dopo un insuccesso
Generalizzabilità: in quanti ambiti ci si sente competenti
Qual è la nostra probabilità di riuscita di un'azione?
La valutazione della probabilità di riuscita non dipende dalla difficoltà del compito, ma dalle esperienze del passato che condizionano le aspettative per il futuro e dalla motivazione a intraprendere un compito.
Anche se il compito è arduo, il soggetto motivato non si lascia intimorire, ma è spinto a cimentarsi in esso ed è fiducioso nelle sue possibilità di riuscirvi.
A cosa attribuiamo le cause della riuscita o meno di ciò che facciamo?
Lo stile di attribuzione è la tendenza ad attribuire le cause degli eventi a se stessi (alle proprie capacità, impegno, intelligenza) o a circostanze esterne (fortuna, caso, persone ).
Ci sono diverse combinazioni tra attribuzioni esterne o interne ed eventi positivi o negativi:
- Attribuire a se stessi sia i successi che gli insuccessi: consente di riconoscere i propri meriti senza insuperbire e di affrontare gli insuccessi senza abbattersi, perché essendo questi ultimi dipesi dal soggetto, egli può individuare gli errori e correggerli.
- Attribuire a se stessi gli insuccessi, alle circostanze i successi: produce vittimismo (sincero o strategico) oppure ostentazione di umiltà.
- Attribuire a se stessi i successi, alle circostanze gli insuccessi: produce vanagloria, delirio di onnipotenza e attribuzione di meriti infondati.
- Attribuire alle circostanze sia i successi che gli insuccessi: la persona si sente in balia degli eventi, si rassegna passivamente a tutto quello che accade ("impotenza appresa")
La combinazione migliore è quella che sposta il baricentro di attribuzione in base ad un quadro obiettivo degli eventi.
Infatti ci sono accadimenti ingovernabili, nonostante la volontà di dirigerli: attribuirsene la responsabilità produrrebbe inutili sensi di colpa e di impotenza. Sono circostanze imprevedibili e dolorose e sentirsi coautori, viverle come punizione di una presunta colpevolezza sottrarrebbe energie per affrontarle.
Allo stesso modo, è puerile inorgoglire per successi scaturiti da concomitanze favorevoli, oppure ingigantire la difficoltà di un compito per rendere più epiche le proprie gesta.
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